Acchiappa la coda

by ViVi ViVi

 

Coversistono innumerevoli maniere per parlare di un film: potrei usare un registro psicologico, oppure prettamente narrativo (come sono solito fare), raccontando semplicemente quello che accade nello script; senza dimenticare il necessario giudizio estetico o morale, contenutistico, tuttavia Sesso e Potere (brutto e fuorviante il titolo italiano, da preferire l'originale Wag the dog), come tutti i veri bei film, va oltre queste stucchevoli barriere semantiche per offrirci una chiave limpida ed universale di lettura: è un film che offre se stesso, in tutto e per tutto, attraverso il linguaggio cinematografico classico, quello del montaggio, della recitazione, della sceneggiatura. La trama? Niente di più semplice, ma geniale: per coloro che non se lo ricordino (e ce ne saranno…) Wag the dog è il famoso film che anticipò (seppur di poco) il sexy-gate clintoniano, immaginando un Presidente porcellone pescato con una boy-scout (ed in effetti nel 1997 negli U.S.A. non era necessaria una gran fantasia per immaginarlo…), il quale, grazie all'intervento di un misterioso factotum, Brean - De NiroConrad Brean (De Niro), esperto manipolatore dell'opinione pubblica, si "inventa" una guerra virtuale,anzi, per meglio dire, mass-mediologica con l'Albania (?!...), per coprire lo scandalo sessuale a 11 giorni dalle elezioni! Perché proprio l'Albania, che agli Stati Uniti non ha mai fatto nulla di male? "- risponde Brean- ma non ci ha mai fatto neanche del bene". Con questa risposta che più americana non si può inizia il "montaggio" della guerra inesistente grazie all'aiuto di un produttore hollywoodiano, mago della "fabbrica dei sogni", Stanley Matts (Hoffman). L'appunto sociologico del film, che io azzardo di considerare un vero e proprio saggio (in farsa) di sociologia della comunicazione, sta nel fatto che il Presidente U.S.A. non si vede mai, se non di spalle, non sentiamo la sua voce (parla tramite cellulare con la fedele segretaria Winfred, spalla di Brean negli 11 giorni fatali per la presidenza) e non prende decisioni: non esiste! È, insomma, virtuale egli stesso, un prodotto pubblicitario che funziona, mentre il vero protagonista, dietro le quinte, risulta essere Matts - HoffmanS. Matts, geniale organizzatore ed accentratore di idee, personaggio reso indimenticabile (fatemelo dire!) da un incredibile Dustin Hoffman, bravissimo nel creare un archetipo, ironico, del tipico produttore vecchio stile: colmo di tic e nevrosi, logorroico, schifosamente cinico e ottimista, anti-politico, anti-intellettualistico, fondamentalmente stupido, ma immancabilmente vincente, e convincente. In pochi giorni il duo Brean-Matts riuscirà a creare dal nulla la giusta tensione dei preparativi di una guerra, evocando tutti i più alti o più bassi, a seconda dei punti di vista, istinti nazional-popolari degli americani, pronti a dimenticare (e perdonare…) tutto e a sacrificare il libero arbitrio sull'altare del caro, vecchio, nemico comune. Questa finta guerra sarà il capolavoro di Matts, ma, diversamente da quanto accade con un qualsiasi altro film, egli non potrà mai raccontarlo a nessuno… Barry Levinson (vi ricordate Rain Man?) ha confezionato, pensate, in soli quindici giorni di riprese (!!), una pellicola di squisita fattura: la sceneggiatura robusta e dai dialoghi serratissimi (punto di forza del film), la scenografia ammiccante un po' alla Dottor Stranamore ed un cast perfetto in ogni ruolo, sostenuto dai mostri sacri Matts, Brean  e segretariaDe Niro e Hoffman ne fanno a mio parere un piccolo classico, una gemma di cinema d'oltreoceano come non se ne vede quasi più, con tante idee, molto mestiere, pochi soldi, nessun effetto speciale. Ciò che mi piace maggiormente del cinema americano, lo dico sempre, è proprio il suo innegabile talento autocritico; patria degli psicanalisti a ore, gli sceneggiatori U.S.A. sono in grado, a volte, di autoanalizzarsi come non si potrebbe mai vedere in nessun altra tradizione (ricordo che noi abbiamo Alberto Sordi… :-( ) Scrivendo questa recensione non ho potuto fare a meno di pensare al mezzo che la conterrà: Internet. Wag the dog riflette sulle enormi possibilità dei moderni mezzi di comunicazione, e pare uscirne, in fondo, machiavellicamente: non c'è possibilità di riscatto, né di verità: la Grande Rete, però, piace ai giovani perché sembra essere in grado di "resistere" alle tentazioni di asservimento alle logiche di potere, ma mi chiedo se sia realmente possibile, o auspicabile… Grazie! al Cinema, che con la sua arte non dà soluzioni, ma fornisce emozioni in grado di farcele desiderare.

 



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