Viaggio a Tokio

Un film di Yasujiro Ozu

by Fede

 

Viaggio a Tokio è stato presentato negli Stati Uniti. Pochi critici l'hanno lodato. [...] In sostanza gli stranieri non fanno che seguire la storia [...] Non comprendono assolutamente l'atmosfera, che è altro della storia. Non capiscono proprio - ed è per questo che tirano in ballo lo Zen o cose simili.

 

a2l sentir nominare il film Viaggio a Tokio, spesso i cosiddetti cinefili aggrottano le sopracciglia o storcono un po' il naso (con tutto il rispetto per il grande Ozu) commentando con un laconico “Sì, è il suo film più famoso”. Questa punta di amarezza nasce dal semplice fatto che per loro successo di pubblico (quello di massa) e qualità di un film raramente vanno d'accordo, convinti che i film migliori siano (debbano?) rimanere nel limbo del cinema semi-sconosciuto, pronti ad essere "riesumati" davanti all'interlocutore di turno: “E' bello, ma il mio preferito è...”
Dopo aver visto poco più di una decina di film di Ozu, la cui impostazione (vedere per credere) va molto ben oltre l'affinità di tematiche o la congruenza dello stile, non è difficile capire come l'affermazione (molto parziale, a sentire l'incredulità che suscita il nominare Yasujiro Ozu) di questo film del più giapponese dei registi nipponici anche in Occidente non sia casuale.
Perchè, analogamente, ad esempio, a Rashomon o a Hana-Bi, tanto per citare due film estremamente importanti della filmografia del Sol Levante, il tema affrontato da Viaggio a Tokio è quanto di più moderno, razionale, riflessivo mi sia capitato di vedere al cinema.
Il lungo viaggio affrontato dagli anziani Shukichi e Tomi per far visita a Tokio ai figli e alle loro famiglie, compresa la vedova di un figlio morto in guerra evidenzia una certa inospitalità e mancanza di entusiamo da parte dei figli, troppo indaffarati nelle loro faccende di tutti i giorni, mitigata in parte dalla sincera disponibilità che mostra la vedova, ancora giovane, Noriko.Da parte loro, i due genitori riflettono sulle proprie aspirazioni non proprio corrisposte del lavoro dei figli, ma tutto sommato ritengono di considerarsi fortunati. Durante un soggiorno in una rumorosa località di villeggiatura, dove sono stati "spediti" dai figli, Shukichi e Tomi maturano la decisione di tornare al loro paesino al quale hanno lasciato la figlia più giovane: ma durante il viaggio di ritorno, Tomi si sente male, e al ritorno a casa, dopo poco muore. Uno dei figli non riesce ad arrivare in tempo prima del funerale, al termine del quale ripartono tutti in fretta per tornare ai propri impegni.

 

OzuMi sento vicino alla vecchia generazione. Molti film recenti sembrano negarne i valori e approvare lo stravagante comportamento dei giovani. Ma la generazione passata, infastidita da tale inutile ribellione, ne prende le distanze. Anche se i giovani le definiscono feudali, ho scelto di rappresentare, a dispetto di ciò, le buone intenzioni dei genitori. Lo sguardo di un regista, naturalmente, deve essere adeguato al punto di vista della sua generazione. Mi rivolgo a quegli spettatori che hanno la mia età. Ad essere veramente onesto, non comprendo i giovani. Desidererei capirli. Tuttavia non posso che guardarli attraverso i miei vecchi occhi.

 

In ogni famiglia lo scontro generazionale è sempre più o meno evidente perchè condotto da due punti di vista spesso ben più distanti di quanto possa dire la sola differenza d'età. Nella nostra società (non proprio simile a quella descritta, in questo film, da Ozu) questo divario è evidente soprattutto con i figli adolescenti, che difficilmente riescono ad entrare nell'ottica delle responsabilità di un genitore, di un adulto insomma, meno propenso a considerare il divertimento e la socializzazione come unici punti focali della propria vita.
Nonostante Ozu non avesse particolari simpatie per i giovani della generazioni successive alla sua -anzi!-, in questo film pone l'accento sul deterioramento dei rapporti tra genitori e figli in età più avanzata, ponendo addirittura la più giovane figlia Kyoko come estremo baluardo, ancora inattaccato e inattaccabile, della profondità dei sentimenti e dell'affetto filiale. Tra i due estremi, ma più vicina a Kyoko che non ai "lontani" figli adulti, si pone la figura di Noriko che, lungi dal considerare la visita dei genitori (tra l'altro non suoi, ma del marito defunto: non dimentichiamoci, però, che in Giappone nella famiglia vi è un atteggiamento diverso dal nostro) un'occasione non molto opportuna o, peggio, un peso, subisce e ha subito l'influenza della vita adulta con le sue responsabilità, i suoi doveri, le sue necessità. Il suo dialogo con Kyoko è struggente e poetico, ma intriso di quella consapevolezza dell' incessante fluire delle cose che è la caratteristica peculiare di Ozu.
Il genitore, d'altronde, ripone nel o nei figli gran parte delle sue speranze, delle sue aspettative, dei suoi desideri per il futuro. Ed ogni tanto, magari, qualche suo rimpianto. Se le aspettative, da una parte, non vengono sempre corrisposte, forse dall'altra dovrebbero essere più commisurate alla società fortemente cannibalizzante nelle cui fauci i figli possono sentirsi (almeno temporaneamente) smarriti.
Shukichi e Tomi si "lamentano" (ma fra di loro) perchè il figlio medico è "solo" un dottore di periferia e non è ancora riuscito a trovare un posto migliore al centro dell'enorme metropoli: ma la vità di città è molto più impegnativa (e in Giappone in particolare) di quella di campagna, e il fatto di non essere ancora riuscito a "sfondare" non è semplice responsabilità del figlio.
Shukichi e TomiLa delusione maggiore rimane comunque quella per l'inevitabile ma triste distacco dei figli più grandi dall'affetto familiare, che i due genitori accettano con incondizionata rassegnazione ma che non possono fare a meno di compiangere. Si sono accorti che qualcosa si è incrinato definitivamente, non per cause esterne, ma per così dire naturali. Se di naturale si può parlare quando Ozu ci mostra il background storico-culturale del Giappone post-bellico, l'incessante industrializzazione, la sua rincorsa all'arricchimento e al benessere, la fuga verso la città che ha coinvolto la loro famiglia in prima persona. Le inquadrature dei moderni palazzi e grattacieli, simbolo di questa società, sono raccordati con immagini fisse, vere e proprie fotografie tanto care anche a un regista come Terrence Malick distante da Ozu non solo cronologicamente, venate di quella malinconia e di quel rimpianto del passato che il regista non ha mai nascosto, di quel senso della tradizione che ritiene essersi perso e patrimonio ormai della sua generazione, la stessa del caro amico Ryu Chishu-Shukichi quasi onnipresente nei suoi film.
Pensiero che è ben condensato nel già citato dialogo (quasi) finale tra la giovane Kyoko -che appartiene sì alla nuova generazione, ma vive in campagna e non è stata ancora "contaminata"- e Noriko, che invece, seppur respingendola, sente su di sè l'influenza della mentalità egoistica del "nuovo". Vorrei citarlo, per concludere con saggezza questo piccolo omaggio a un regista atipico, dallo stile sobrio ed essenziale ma profondo analizzatore, spesso critico, della sua società.

“Sai, Kyoko, anch'io pensavo come te quando avevo la tua età, ma è vero che crescendo i figli finiscono fatalmente per allontanarsi dai loro genitori. Quando si arriva a un'età come quella di Shige, una donna ha la propria vita, del tutto indipendente da quella del padre e della madre. Non credo che lei abbia agito volendo far del male. E' solo che arriva il giorno in cui è la nostra vita a prendere il sopravvento...credo non ci sia modo di sfuggire. Si finisce tutti così...sì, faro così anch'io. Non è che lo voglia, ma finirò anch'io come gli altri.”
(Noriko risponde a Kyoko che ha accusato di egoismo la sorella maggiore Shige, che con non molta delicatezza ha chiesto, subito dopo il funerale della madre, i suoi kimono)

 

Noi siamo giapponesi e dobbiamo fare cose giapponesi. Se non vengono capite, non possiamo farci niente.

 

Giudizio: mereghettitransnteromereghettitransnteromereghettitransnteromereghettitransntero

 



home | CINEforum | scrivici