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Stanley, star del quiz show
Earl & Linda Patridge
Claudia & Jim
Jimmy & Rose Gator

Fede Il fiore del male

by Fede

 

Non si può certo dire che non si esca un po' spaesati e storditi dopo la visione di Magnolia (o, meglio, Mag-nolia), non tanto per le sue tre ore abbondanti, per gli strabordanti primi e primissimi piani, per i lenti e continui zoom sui personaggi o per le insistite riprese con camera a mano che il montaggio frenetico rende degne di un mare in tempesta. La durata del film, anzi, è appena sufficiente a narrare gli eventi del film e a raccogliere i punti di vista di non uno, ma ben dodici personaggi racchiusi (o, meglio, rinchiusi) in sei microstorie parallele a due a due (se non tiro in ballo la geometria io...), con tanto di narratore interno. Il film non è forse così astruso come può sembrare a prima vista, ma ha il pregio di non eccedere in leziosismi registici per mettere in mostra l'eventuale intelligenza dell'autore, quanto piuttosto di "invocare" l'intelligenza attiva dello spettatore, coinvolgendolo senza immedesimarlo troppo nei protagonisti, grazie ad un montaggio alternato che mantiene vigile la mente sui vari episodi. Lo fa inoltre, per buona parte del film, mettendo in dubbio le tre unità aristoteliche (spazio, tempo, luogo) avvicinando a tal punto le vicende fra loro che a tratti sembrano quasi combaciare. Ma non avevo detto che erano parallele? E come tali, non si incontrano mai, se non in un punto all'infinito (la morte?). Magnolia, pur ricordando molto da vicino alcuni film di Altman (Nashville, America Oggi), mantiene infatti le sue storie su piani differenti, senza trovare un reale punto d'incontro, ma lasciando che le vicende di ognuno "sfiorino" quelle dell'altro, fuorchè il poliziotto Jim che sembra essere l'unico in grado di "cogliere" l'essenza di ognuna di esse.

 

Il meccanismo della storia non sembra proprio perfetto, probabilmente andrebbe oliato e rifinito in alcune parti, ma comunque è ben congegnato e dal rendimento piuttosto elevato. Pur non prendendosi troppo sul serio e a volte sdrammatizzando (in fondo siamo in un cinema, non in un ospedale o al fronte), ed evitando anche quando ce n'era la possibilità, di affondare la lama del sarcasmo, Magnolia è un film ben girato e diretto, anche nella caratterizzazione delle dodici figure che, sul piccolo grande palco di San Fernando Valley, interpretano la grande storia della vita. Compreso un notevole Tom Cruise, che recita sì sopra le righe, ma in maniera adeguata al personaggio, in particolare nell'intervista e nel toccante incontro col padre, che costituiscono gli eventi più importanti della sua esperienza di vita, almeno quella che viene narrata nel film. Sì, perchè nel breve lasso di tempo della durata degli eventi filmici, tutti i personaggi "subiscono" importanti cambiamenti, più o meno casuali ma fondamentali nel loro percorso formativo. Hanno una sorta di presa di coscienza della propria identità attuale nei confronti di un passato che come un vulcano mai spento erompe in tutto il suo fragore. La visita del padre malato, in cerca di perdono e riconciliazione, provoca indirettamente l'incontro tra Claudia e il poliziotto-narratore-spirito guida Jim; la fase terminale della malattia di Earl lo spinge a cercare il figlio che, toccato da un'intervista che cerca di scavare nel suo passato, accetta di accorrere al suo capezzale; il confronto tra il presente e il suo passato poco "onesto" verso il marito morente spinge Linda a cercare di cambiare (definitivamente...); l'ex genio dei quiz, rievocando i fasti e la notorietà ormai solo facciate, cerca una via d'uscita alla crisi finanziaria.

 

L'ineluttabilità del fato è sottolineata dall'impossibilità di modificare ciò che si è (o si rappresenta) anche alla fine del proprio percorso: sia in direzione della vita che della morte, non è consentito redimersi, né ammesso il perdono, né si può sfuggire al proprio passato. La cura è solo una medicina che stordisce e inibisce i sensi, toccati in profondità e permanentemente dal dolore, non solo fisico ma soprattutto psichico. La morte, ben lungi dall'essere semplice termine di una vita più o meno difficile, assume molteplici forme: momento di postuma e dolorosa riflessione, penoso calvario aggravato, oltre che dal peso della croce, dalle pietre lanciate da chi (a ragione, però) prima ama e poi disprezza; desiderato atto estremo che il destino non concede. E' anche catalizzatore delle crisi d'identità dei mostri generati dalla nostra società, tutta soldi, sesso e potere, oltre che finzione e ipocrisia. Una visione molto cristiana, quasi biblica come la pioggia di rane, ma "interiore" e spontanea come il canto collettivo a metà film.

 

Pur rimanendo nel dubbio di parlare allo specchio, non posso non consigliare la visione di questo film splendidamente lucido e pessimista sulla presunta casualità della vita, che tanto governata dal caso non sembra visto che siamo noi, come viene ripetuto spesso anche nel film, a commettere errori, a governare nel bene e nel male gli eventi, a decidere cosa sia giusto o sbagliato in base al nostro personalissimo punto di vista. L'errore più grande è che, non facendo tesoro degli sbagli del passato, continuiamo a commetterne ignari di portarci sempre più velocemente verso l'autodistruzione. Qualcuno potrebbe avere da obiettare che no, la sua vita è rosa e fiori, non c'è niente che gli o le vada male, che si trova benissimo con se stesso e con gli altri: buon per lui/lei, ma le riflessioni di questo film non gli o le si addicono, e comunque i cinema son sempre pieni di storie d'amore a lieto fine. Ma a cosa serve farci un film, se la realtà è più bella dell'immaginazione?

 

 

Giudizio: MereghettoMereghettoMereghetto

 



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