IL GRANDE DITTATORE

di C. Chaplin

by Dome

SHail Hinkel!iamo sotto Natale (la recensione è stata scritta il 20-12-1999, ndr) e non so bene perchè ho sentito la necessità di rivedere questo film che non esiterei un istante a definire un capolavoro.Il film ha ormai sessant'anni, ma rivela la sconcertante vitalità delle opere d'arte nelle quali la qualità, che è di tutti i tempi, si accompagna con l'attualità. La storia è nota: Charlot è un modestissimo barbiere in un borgo dell' Europa orientale, soldato durante la guerra del '14, rimane ferito, perde la memoria e viene internato in un manicomio. Passano vent'anni e Hinkel (cioè Hitler) dittatore nazista della Tomania (cioè Germania) invade il paese del nostro barbiere. Ora avviene che costui è un perfetto sosia di Hinkel: nel borgo i nazisti effettuano le solite prepotenze, e il barbiere -liberato in quei giorni dal manicomio ed ignaro di tutto- torna alla sua bottega riprendendo a lavorare. Il barbiere, quasi suo malgrado, si scontra coi militari che pattugliano il borgo, scappa e durante la fuga , a causa della propria somiglianza con Hinkel viene scambiato per il dittatore e portato di peso ad un'adunata oceanica. Qui in un impeto di disperata rivolta,di fronte alla folla che alla fine lo applaude, pronunzia un veemente discorso pacifista. Hinkel e il mondoIl grande clown che è Chaplin si esibisce in alcune sequenze geniali come quella del suo incontro con Napaloni (cioè Mussolini) e l'altra famosa in cui prende a calci il mappamondo. Tuttavia ciò che colpisce di più, oggi, è l'attento studio della psicologia hitleriana. Chaplin mostra di avere intuito con grande lucidità il motivo principale del successo di Hitler: la capacità di illudere, prima ancora che gli altri, se stesso. Ma cosa contrappone Chaplin al delirio di onnipotenza hitleriano? Con geniale intuito, proprio quello che determinò alla fine la caduta dei due dittatori: il senso comune del sentire, l'umanitarismo esistenziale della piccola gente. Chaplin dimostra non far totalmente riferimento agli illuminismi tradizionali e contemporanei, la sua trovata consiste nell' estendere ai campi della politica della guerra e delle lotte sociali il senso dei valori comuni tradizionali e probabilmente eterni della verità, della libertà e della giustizia. Il Grande dittatore oggi fa un effetto sconcertante e deprimente perché, purtroppo, non è possibile dichiararlo datato, anzi, appare più attuale che mai. Visto nella prospettiva del '40, girato quindi in piena guerra, il film fa di Chaplin una rappresentazione simbolica di tutto quello che contribuì a demolire il progetto hitleriano. Visto nella prospettiva di oggi, Chaplin perde ogni connotazione simbolica, ridiventa se stesso, un uomo coraggioso e tollerante le cui parole contro la guerra e la dittatura, a favore di un mondo nuovo e cosciente di sè echeggiano in un'atmosfera rarefatta che ben identifica la società odierna. L'utilizzo della componente comica é assolutamente funzionale alla comprensione diretta al cuore, è questa rappresentazione che ci permette di considerare figure e valori, sempre nostri, di tutta l'umanità ed eternamente alla nostra portata. Amalgamare realismo comico e buoni sentimenti é un'operazione complessa e difficile ma ha sempre attratto numerosi autori, non ultimo il mio (o forse nostro?) amato Roberto Benigni che se pur con qualche inciampo formale onestamente difficile da sorvolare, ha reso bene l'idea utilizzando un punto di vista interpretativo tutt' altro che semplicistico ripercorrendo soprattutto una strada battuta da molti grandi interpreti della realtà tra i quali, sicuramente, vi è Charlie Chaplin.

 



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