Ma questa non è una lieta fine
opo
un'attesa durata dodici lunghi anni, fatalmente e malinconicamente conclusasi
con la scomparsa del suo regista, insipidamente condita da una campagna
pubblicitaria scorretta e irrispettosa in pieno stile hollywoodiano,
è arrivato l'ultimo film di Kubrick, Eyes Wide Shut.
E che segni la fine di un'epoca e di un concetto di cinema che non sembra
aver fatto proseliti né lasciato eredi, è evidente da
molti particolari, presenti nel film o esterni ad esso.
Come non notare le numerose autocitazioni dei suoi gloriosi film del
passato, da Lolita (la figlia del proprietario del negozio di
costumi) a Shining (le inquadrature lungo i corridoi, la "redrum"
della prostituta sieropositiva) o anche 2001 (un'inquadratura
del paziente deceduto nel sonno). Non manca, secondo un gioco, una sciarada
che Kubrick amava spiritosamente fare, sullo stile delle apparizioni
di Hitchcock, la citazione del film precedente, Full Metal Jacket
: sebbene meno evidente che in altri casi, la si può "scovare"
sul giornale su cui Bill-Cruise trova la notizia della morte della prostituta
Mandy che reca in prima pagina la scritta "Lucky to be alive",
in analogia alla frase conclusiva di Joker: "Sono vivo e non ho
più paura" (espressioni applicabilissime allo stesso Bill).
A questo punto viene da pensare che Eyes Wide Shut costituisca
una summa delle opere kubrickiane, dei temi e dei risultati delle sue
ricerche sui meandri della psiche umana: un'opera ambiziosa e maestosa
che chiude, come suggerisce il Vivi, un secolo fortemente influenzato
da Freud e dalla psicanalisi.
Tuttavia, come suggerisce
il titolo del mio articolo, sono convinto, nonostante le numerose riserve
del pubblico e della critica, che quello di Kubrick, ed in particolare
proprio questo di Eyes Wide Shut, non sia un lieto fine. Perchè,
come sottolinea Claudio Carabba in una breve ma puntuale "pagella"
sul Sette, l'allucinante esperienza dei coniugi Harford, ed in particolare
ovviamente quella del "dottor" Cruise, "non segna una
crescita o una perdizione, ma la resa a un'accogliente normalità",
in cui "l'arrivo coincide col punto di partenza". Che sono
condensati, a loro modo splendidamente, nell'ultima parola del film,
quello "scopare..." che ha fatto rizzare i capelli a molti
(tra parentesi, Alice-Kidman ha ripetuto lo stesso verbo in altre due
occasioni: sotto l'effetto della marijuana e subito dopo un incubo,
il che non è un gran dire...). Si badi bene a non confondere,
però, la sconcertante banalità delle parole di una Kidman,
causa, effetto e salvezza del percorso psico-libidinoso del marito,
col pensiero del regista, che non si è mai identificato in uno
dei personaggi dei suoi film. E che senza questa conclusione, profondamente
pessimistica come sempre, probabilmente l'intero film avrebbe avuto
una piega decisamente diversa (è a questo che servono i finali
a sorpresa). Non a caso l'ultima inquadratura non svela la reazione
di Cruise alle parole della moglie in cui cerca conforto, che secondo
me è molto meno ottimistica di quanto si possa pensare: la camera
ha spesso indugiato sui sorrisini compassati del dottore, ma ora esclude
lui e la possibilità di una soluzione positiva al profondo (irreversibile?)
cambiamento dello stato delle cose.
Non credo (o, meglio, non voglio credere) ad una "conversione in
punto di morte" di Kubrick all'ottimismo o a uno smorzamento dei
suoi toni che hanno caratterizzato, in maniera del tutto personale e
atipica, tutta la sua carriera cinematografica.
Se
il finale si presta volutamente a variopinte interpretazioni, ritengo
che anche tutto il film possa essere guardato sotto diverse chiavi di
lettura, a mo' di una "buccia di cipolla".
Per spiegarmi, tolto il primo e sottile strato che separa, portandone
i segni evidenti, l'interno della verdura dalla terra, e che rappresenta
una alquanto errata lettura del film come un thriller (a sfondo) sessuale
-d'autore- stile Basic Instinct, cosa che non è, semplicemente
perchè il film non ha né tempi né situazioni da
thriller, si passa a strati sempre più profondi ma comunque "buoni"
(ovvero corretti nell'interpretazione) sino a giungere al cuore della
cipolla che è probabilmente il più vicino al romanzo Doppio
Sogno di Schnitzler e allo spirito freudiano di cui il film è
permeato dall'inizio alla fine. Se quest'ultimo rimane pittuosto oscuro
e difficile, perlomeno per chi come me non ha ancora avuto la possibilità
(voglia?) di leggere i pur fondamentali trattati del padre della psicanalisi,
negli strati intermedi si collocano, citando sempre Carabba, "l'orgia
del desiderio che è solo una festa in maschera per ricconi annoiati",
il fantasma di Lolita "oggetto di svago per turisti giapponesi",
oppure il ruolo del destino che salva il dr. Harford prima dal corteggiamento
della figlia del paziente defunto, poi dalla contrazione dell' Aids,
infine dal "linciaggio" all'orgia; oppure ancora gli avvenimenti
perfettamente ciclici a cui lo stesso dottore sembra non potersi sottrarre,
nella tradizione dei contorti ma affascinanti percorsi logici che caratterizzano
i film di Kubrick.
Che mi mancherà e mancherà a tutto il cinema, della cui
breve storia egli ha scritto un capitolo fondamentale, segnato da film
"allo stato dell'arte". Grazie Stanley.
Giudizio:
Nota dell'autore: alla luce di quanto è
maturato dalle riflessioni nei mesi successivi alla visione dell'ultimo
film di Kubrick, questa recensione mi appare ora piuttosto "datata"
e non è improbabile che in futuro possa essere ritoccata, come
Kubrick faceva sempre alle sue sceneggiature o alle scene.
Per ora, per scoprire ben più di un segreto riguardo a questo splendido
film, vi consiglio l'attenta lettura del romanzo da cui è stato
tratto, ma soprattutto che ne costituisce il punto di partenza e il punto
di arrivo, ovvero Doppio sogno di Arthur Schnitzler e, successivamente,
il bel libro (regalatomi dal ViVi) che ha scritto il co-autore della sceneggiatura,
Frederic Raphael, intitolato Eyes wide open , che porta alla luce
e svela non solo le differenze col romanzo, ma dà una serena e
sincera descrizione dell'uomo-Kubrick.
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