Citizen Zelig
Ho un solo rimpianto nella vita: non essere stato qualcun altro.
(Woody Allen)
uarto
Potere
raccontava, attraverso l'espediente geniale (d'altronde parliamo di Orson
Welles…) della ricostruzione analitica a posteriori tipica del cinegiornale,
la vita e i miracoli (ma non la morte…) di Kane, magnate dell'editoria,
uomo capace di modificare il corso degli eventi di moltissime persone,
ma incapace di essere soddisfatto di sé. Senza rendersene pienamente conto,
Orson Welles tracciò una sottile linea che univa la popolazione
delle metropoli, la massa, con il nascente fenomeno dei mass-media
e il "male" che meglio lo avrebbe rappresentato: il conformismo.
In una società così fortemente competitiva, nella quale pareva non esserci
più spazio per il libero pensiero, bensì per quello preconfezionato, chi
avrebbe detenuto l'esercizio dell'espressione pubblica, chi sarebbe divenuto
(usando un termine che allora nemmeno esisteva) un "Opinion Leader",
avrebbe presto assunto un potere eminentemente politico. La distanza,
che ancora Welles, data la sua nota preparazione teatrale, metteva tra
la parola e l'oggetto, e che trovava casa nella tragedia, dove
potevano parlare gli Dei, e gli Uomini accettavano i propri limiti attraverso
la rinuncia alla piena comprensione, verrà colmata dalla "Dialettica dell'Illuminismo",
con la sua spropositata volontà dissimulatrice, a scapito della Chiarezza.
Nel nostro tempo, che non dà cittadinanza alla Tragedia (oggi potremmo
ridere di una messa in scena "corretta" e seriosa di una tragedia di Euripide
o Sofocle…) perché ha vinto la ragione sulla parola, ma la ragione ha
perso la sua battaglia con l'economia, rimane, come ultimo baluardo di
"incomprensione" il suo corrispettivo speculare: il comico.
Il comico si incarica di "mettere in questione", e per farlo ride di ciò
di cui non si dovrebbe ridere, assolvendo così il suo compito di
alleggerimento dell'essere, condizione più idonea di quella "normalizzata"
per riflettere su se stessi. L'ironia è capace di "simulare-dissimulare",
e provoca il riso, effetto liberatorio delle nostre pulsioni e repressioni,
cause del freudiano "disagio della civiltà"; il riso è dunque "incivile"?
Tutt'altro, è necessario, altrimenti l'Umanità non avrebbe modo di negare
le tante falsità imposteci dal Mondo, come faceva Socrate (padre di tutti
gli umoristi) che usava l'arma dell'ironia per smascherare la vuota retorica
dei Sofisti. Woody Allen, nel 1983, dopo gli scarsi risultati dei suoi
film precedenti (Commedia Sexy; Stardust Memories), riuscirà a concepire
il suo personalissimo (e ironico…) Citizen Kane, creando un personaggio
"presunto", Zelig, protagonista di una vicenda, raccontata
a posteriori da un cinegiornale, incredibile, etica ed est-etica insieme,
riuscendo a farne il suo film migliore e, senza dubbio, un film "unico"
nella storia del Cinema. Lo spettatore che si trova per la prima volta
ad assistere alla proiezione del film, crede di vedere un vecchio cinegiornale
d'epoca: la pellicola ingiallita, quei tipici movimenti a scatti delle
persone riprese dall'operatore, le fisionomie, le apparizioni dei personaggi
importanti dell'epoca descritta (puoi riconoscere cantanti, malviventi,
Presidenti degli Stati Uniti…), tutto ti fa credere di aver sbagliato
sala (o videocassetta…), ma, ad un certo punto, anche se non ti pare vero,
riconosci Woody Allen e Mia Farrow,
apparentemente "calati" in un altro tempo: ed è proprio questo che Allen
vuole, farci calare negli anni venti di questo secolo, ma non quelli "storici",
bensì quelli cinematografici, finti, durante i quali visse Leonard
Zelig. Zelig, personaggio, dunque, inventato, fu un fenomeno del suo
tempo, egli, infatti, era in grado di assumere l'aspetto di chiunque gli
stesse di fronte, fosse una piccola cinese, un indiano o chissà che altro,
ed era capace addirittura di assumere la loro personalità, le loro qualità,
professioni, ideologie. Eudora Fletcher, valente psicanalista, si incarica
di analizzarlo, per cercare una cura, che, dopo lunghe sedute (che il
regista ci fa vedere, in ossequio alla finzione e simulazione di cui tutto
il film è composto) nelle quali tenta di scoprire le paure e le motivazioni
di tale comportamento "fingendo" di essere interessata alle disquisizioni
del "dottor Zelig"
(nuova maschera indossata dal povero Leonard una volta messo di fronte
alla psicanalista…), risulta essere semplicemente l'Amore di cui Zelig
aveva sempre sentito la mancanza: il conformista, il camaleonte
umano, è un uomo che subisce gli altri per timore di non essere accettato.
La straordinaria prova di Woody Allen non sta, pertanto, solo nella grande
capacità tecnica dimostrata nel montaggio finto- d'epoca o nell'uso perfetto
del linguaggio filmico immediato e contraffatto per mostrare una vicenda,
di per sé, irraccontabile (perché avviene nel momento che ti si svolge
davanti), ma anche e soprattutto, perché al massimo della finzione corrisponde
il massimo di verosimiglianza, e ci permette di trarne conclusioni etiche.
Allen ci ha raccontato spesso le vicende dello Shmel, l'inetto
che cade sulla schiena e si rompe il naso, lo sfortunato e piccolo ebreo,
vittima sacrificale delle paure, per identificazione proiettiva, di tutti
gli altri, ma c'è una cosa assai più pericolosa dell'emarginazione, e
questa è il conformismo, poiché una popolazione di soggetti deboli e tendenti
all'omologazione è più malleabile alle brame di potere di cui molti uomini
soffrono. Zelig assume molte identità per non assumerne alcuna, come l'everyman
americano, elemento portante della società benpensante. Anche il più inetto
tra gli uomini, come Zelig, o Miles Monroe nel Dormiglione, o il
candido Boris in Amore e Guerra, possono diventare "celebri", cambiare
la Storia, ma attenzione: il balletto di Leonard Zelig accanto ad Hitler
(come non pensare a Chaplin..) ci ricorda dove può finire l'avventura
dell'Uomo Qualunque: nel rogo di ciò che non abbiamo avuto il coraggio
di essere.
Giudizio:
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