Sam Mendes
Dreaming of Angela

ViViL'estraneo inseparabile da me

by ViVi

 

Se per gli altri non ero quel che finora avevo creduto d'essere per me, chi ero io?" . Così Vitangelo Moscarda diceva in -Uno, nessuno centomila-; non paia azzardato nel recensire un film americano, contemporaneo, papabile per una manciata d'Oscar, citare Pirandello. Per due ordini di motivi: Sam Mendes, il regista, è alla sua opera prima, fino ad oggi aveva solo (si fa per dire…) scritto e diretto spettacoli teatrali, compreso Blue room, successo strepitoso a Broadway l'anno scorso (con la Kidman come protagonista), quindi, anche se spesso ce ne dimentichiamo, certamente a conoscenza delle opere teatrali del grande siciliano (ancora oggi tra le più rappresentate al Mondo); inoltre American Beauty è senza dubbio un film incentrato sul tema della doppiezza e, un po' sociologicamente, sulla crisi d'identità della famiglia americana, disintegrata dalla flessibilità (un padre di famiglia statunitense, in trent'anni, cambia mediamente sette volte città, dieci volte casa, otto volte lavoro), dalla smania di successo, dall'insanabile incomunicabilità tra le diverse generazioni. Com'è facile intuire le tematiche del film sembrano fatte apposta per discuterne all'infinito, e questo è uno dei problemi del film, il quale, sia ben chiaro, è bello e intrigante, e ben fatto, ma forse più "furbo" che realmente riuscito. Kevin Spacey (sempre bravissimo, non c'è niente da dire…), interpreta un ruolo assai simile, forse troppo, all'inetto tipico della letteratura novecentesca, parabola della frustrazione impiegatizia (leggendaria, ormai, la descrizione che fa il protagonista al suo capoufficio riguardo alle "motivazioni" del suo lavoro) che tanto deve a Kafka, Musil, Svevo, e che si ripresenta ciclicamente ad ogni finale di valzer socio-politico. Ovviamente mi riferisco alla sensazione di imminente "chiusura di un ciclo", quello Clintoniano, negli U.S.A., che ha cambiato aspetto al Paese sia al suo interno che nei rapporti con il resto del Mondo. Pirandello, come gli altri grandi scrittori che ho citato, fecero esattamente la stessa cosa: cantarono l'elogio funebre di un sistema, di uno stato del benessere, scoprendone i meccanismi più subdoli, sottolineandone le contraddizioni; in quel caso, il morto (o, se vogliamo, il paziente grave) era lo Stato liberale, o, per dirla con Musil, la "Cacania", l'ex Impero Austro-Ungarico. La Cacania made in U.S.A. di Mendes è un Paese dove un uomo si può svegliare, un mattino, e decidere che non tutto è andato come egli avrebbe voluto, ma l'epifania non è raggiunta attraverso un ricordo di giovinezza, una scheggia del passato (pensiamo a Proust), bensì dall'incontro con la Giovinezza stessa, una pallottola del presente: un'amica della giovane figlia. Nel rapporto, pressoché onirico, tra la giovane amica della figlia ed il protagonista si scioglie il nodo esistenziale che legava il povero Lester alla moglie frustrata e nevrotica e al lavoro alienante (tanto da fargli preferire un lavoro in un fastfood, una volta licenziatosi!), così, ricuperata parzialmente la propria giovinezza, la "Bellezza" tutta americana delle piccole cose, egli sa apprezzare ciò che non si vede nemmeno, sa vedere ciò che gli altri nemmeno scorgono, lui ed un altro solo, a contraltare: Ricky, il vicino di casa, sempre attaccato alla telecamera, ed innamorato di sua figlia. Nel gioco, spesso a coppie proprio per enfatizzare il concetto di "doppiezza", tra le due amiche di scuola, Angela e Jane, tra quest'ultima e il suo giovane vicino con il quale fa subito amicizia, tra la figlia e Carolyn, e tra Ricky ed il padre, violento e autoritario, Mendes ci trascina in un tipico dramma teatrale, con un finale quasi "dovuto", che non possiamo rivelare. Ogni personaggio si rivela molto diverso da come appariva all'entrata in scena. Il protagonista, l'antieroe viene punito per la sua follia, che è proprio quella del pirandelliano Enrico IV: fa paura una volta disvelata, e "guarita". Quale il significato? Perché tanto successo? A mio parere American Beauty è interessante a livello sociologico, e praticamente indispensabile per cercare di capire come si sente oggi l'intellighenzia newyorkese, la costa orientale, la metà "democratica" del cervello americano, perché non c'è dubbio che i personaggi descritti nel film siano una buona approssimazione dei nuovi "tipi" umani che vedremo sempre più spesso sullo schermo; tuttavia chi scrive si chiede se era proprio necessario un film per rifletterci: forse (dico, "forse"…) American Beauty manca di uno specifico cinematografico, e in questo è, purtroppo, assai Hollywoodiano; vuoto che viene inevitabilmente fuori in una sequenza, la più importante: Jane e Ricky si chiudono in camera, da soli, è la prima volta che stanno uno di fronte all'altra, ma Ricky, per farle comprendere la sua autentica mania per le riprese amatoriali e non passare (come accadrà al padre della ragazza) per folle, le fa vedere "la mia più bella ripresa": praticamente una dichiarazione di poetica. Un sacchetto di plastica svolazzante, per dieci lunghissimi minuti, danza come nessun oggetto inanimato dovrebbe (pensiamo…) fare, e lì sta la "bellezza" di chi sa vedere al di là della comune apparenza, come disse Keats: - Com'è possibile distinguere chi danza dalla danza? -. Niente, ahimé!, pare tanto poco cinematografico: dov'è il montaggio? L'intervento umano? Dove sono le "forbici poetiche" che hanno fatto grande quest'arte? Probabilmente Sam Mendes non se lo chiede più, ormai, o non se l'è mai chiesto. American Beauty è una eccellente commedia tragicomica, la quale, però, non trova nella specifica forma del film una realizzazione completa: aspetto la riìduzione teatrale…

 

Giudizio: MereghettoMereghettoMereghetto

 



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